Trust e Successione 2025: cosa cambia con l’art. 4-bis TUS (D.Lgs. 139/2024), imposte e casi a rischio

Introduzione

Nel 2025 parlare di trust in Italia non significa più muoversi in un’area grigia. Con il D.Lgs. 18 settembre 2024, n. 139 — pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 2 ottobre 2024 e in vigore dal 3 ottobre — il legislatore ha riscritto il perimetro dell’imposta sulle successioni e donazioni per i trust e gli altri vincoli di destinazione, introducendo nel Testo Unico Successioni e Donazioni (TUS, D.Lgs. 346/1990) il nuovo articolo 4-bis. A valle, l’Agenzia delle Entrate ha emanato una circolare di sistema (n. 3/E del 16 aprile 2025) che ha chiarito come applicare le nuove regole nei casi reali. Il risultato è un quadro molto più leggibile per famiglie imprenditoriali, holding e professionisti: quando scatta l’imposta, su che base e in quale momento. 

In questo articolo — lungo, discorsivo e pensato per rispondere alle ricerche più frequenti su Google — mettiamo in fila che cosa cambia con l’art. 4-bis TUS, come si coordinano imposte e territorialità, quali sono i casi a rischio (interposizione, trust “a catena”, attribuzioni intermedie, trust autodichiarati), e quali soluzioni conviene adottare per gestire oggi un trust in modo difendibile, allineato a una holding o a una società semplice patrimoniale. Inseriamo esempi concreti, una checklist operativa, una sezione FAQ, e — come d’abitudine — spieghiamo come lavora BC Formula quando progetta e presidia questi strumenti per i clienti.

1) Cosa introduce davvero l’art. 4-bis TUS: il cuore della riforma

La novità più attesa è la tipizzazione del presupposto impositivo: “i trust e gli altri vincoli di destinazione rilevano, ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni, ove determinino arricchimenti gratuiti dei beneficiari”. Questo è il passaggio che mette ordine dopo anni di oscillazioni giurisprudenziali: non è il “vincolo” a essere tassato in sé, ma l’arricchimento che il beneficiario effettivamente riceve (cioè la “devoluzione” dal trust verso il beneficiario). In pratica, la regola generale è una tassazione “in uscita”: si applica quando il bene esce dalla segregazione ed entra nella sfera del beneficiario, non già al momento dell’istituzione del trust. 

La norma, però, introduce anche una opzione importante: il disponente può scegliere una “tassazione anticipata in entrata” (al conferimento nel trust), calcolando l’imposta in base al rapporto tra disponente e beneficiario e alla disciplina vigente in quel momento. In caso di opzione, non sarà dovuta l’imposta in uscita quando, anni dopo, i beni verranno effettivamente attribuiti ai beneficiari. La riforma aggiunge una clausola di prudenza: se l’attribuzione finale non si realizza, il tributo versato in entrata non è rimborsabile. Questa asimmetria conferma la logica “anti-uso opportunistico” dell’opzione e impone valutazioni economiche e familiari molto selettive prima di esercitarla. 

Infine, con il D.Lgs. 139/2024 è stata aggiornata anche la territorialità dell’imposta: conta la residenza del disponente al momento della “separazione patrimoniale” (cioè quando i beni vengono vincolati). Se il disponente è residente in Italia in quel momento, il prelievo colpisce tutti i beni e i diritti trasferiti (in Italia e all’estero); se invece è non residente, l’imposta si limita ai beni situati in Italia. È una regola semplice da ricordare, ma cruciale quando il trust si accompagna a holding estere, immobili e strumenti finanziari cross-border.


2) Aliquote, franchigie e basi imponibili: come si calcola l’imposta nei trust

Una volta individuato il momento impositivo (in entrata su opzione, o in uscita come regola), si applicano aliquote e franchigie del TUS in base al rapporto disponente–beneficiario: coniuge e discendenti diretti (aliquota 4% con franchigia per ciascun beneficiario), fratelli/sorelle (6% con franchigia ridotta), altri parenti fino al quarto grado e affini (6% senza franchigia), “altri soggetti” (8% senza franchigia). In presenza di immobili, all’attribuzione possono sommarsi imposte ipotecaria e catastale (di regola proporzionali); per i beni mobili non si pone il tema ipocatastale. Una buona guida operativa è distinguere con precisione: che cosa si attribuisce, a chi, quando e in base a quale titolo. 

Attenzione a un effetto poco intuitivo: non sempre l’attribuzione è verso una persona fisica. La prassi 2025 ha mostrato che, in talune strutture, l’Agenzia può trattare come “beneficiari” anche altri trust (cd. trust successivi) quando l’attribuzione interrompe la segregazione del trust originario e svincola una parte del patrimonio in favore di quei veicoli, anticipando di fatto la devoluzione finale. In simili casi, se i beneficiari “finali” non sono ancora individuati, le aliquote applicate possono essere quelle per “soggetti estranei” (8%). È una lettura stringente della nozione di beneficiario che cambia i conti e va considerata in fase di design architetturale. 


3) Territorialità e residenza del disponente: perché oggi contano più di ieri

La riforma ha voluto allineare il TUS al principio di “sostanza prima delle forme” già emerso nella fiscalità internazionale: chi decide di segregare il patrimonio, dove risiede e quando lo fa orientano il perimetro del prelievo. Con un disponente residente in Italia al momento dell’apporto, l’imposta — su opzione “in entrata” o in seguito “in uscita” — abbraccia anche i beni esteri; con un disponente non residente, si guarda solo ai beni situati in Italia. Questo approccio, letto insieme ai chiarimenti della Circolare 3/E (16.04.2025), tocca da vicino famiglie e gruppi che hanno holding estere o patrimoni immobiliari outside Italy: non basta “mettere il timbro estero” se il presupposto nasce in Italia. 

Sul piano operativo, quando il trust è parte di un passaggio generazionale o di un progetto di protezione patrimoniale con immobili e partecipazioni in più Paesi, è sensato preparare un memorandum di territorialità che fotografi: residenza del disponente, data dell’apporto, localizzazione dei beni, residenza (o statuto fiscale) dei beneficiari, e la catena decisionale (trustee, protector, advisor). È materiale che torna utile sia nei calcoli sia in eventuali interpelli.


4) “Entrata” o “uscita”? Come scegliere il momento impositivo (con esempi)

L’opzione per la tassazione anticipata in entrata è lo strumento più discusso del 2025. Quando conviene esercitarla?

  • Famiglie con beneficiari già chiari e rapporti favorevoli (coniuge/figli): pagare subito può blindare la pianificazione, evitando in futuro incertezze sulla normativa (aliquote, franchigie) o dispute sui “momenti” di attribuzione.
  • Fondi o patrimoni che generano reddito: togliere incertezze all’uscita può migliorare anche il dialogo con le banche (affidamenti, pegni) o con il mercato (operazioni di M&A), perché chiarisce “il prezzo fiscale” della devoluzione.
  • Timeline molto lunga e trust “dinastici”: l’opzione può essere una forma di stabilizzazione. Va però ricordato che, se la devoluzione non si realizza, non c’è rimborso dell’imposta pagata in entrata: un rischio consapevole, che sconsiglia scelte frettolose. 

Quando è preferibile non optare e rimanere sulla regola generale “in uscita”?
Se i beneficiari non sono ancora definiti, se la famiglia vuole riservarsi flessibilità (ad esempio per merito, bisogni speciali, o per premiare il contributo in azienda), o se si intravede un cambiamento delle dinamiche familiari/societarie, la tassazione in uscita consente di pagare quando serve, su beneficiari certi e con beni precisamente individuati.

In mezzo c’è un terzo scenario, emerso in prassi: le attribuzioni intermedie (per esempio, dal trust originario a trust successivi per rami di famiglia). Qui la Risposta AE n. 170/2025 ha trattato i trust successivi come beneficiari ai sensi dell’art. 4-bis, ritenendo che l’attribuzione interrompa la segregazione originaria e quindi attivi l’imposta (perfino con aliquota all’8% in assenza di un rapporto “familiare” tra disponente e nuovo trust). La lezione operativa è limpida: ogni step va disegnato e motivato, distinguendo tra mera gestione (neutrale) e effetto traslativo (impositivo). 


5) Casi a rischio nel 2025: interposizione, trust a “catena”, autodichiarati

Interposizione e “trust fittizi”

La riforma non ha creato scorciatoie per i trust interposti, cioè quelli in cui il disponente mantiene controllo sostanziale e i beneficiari non sono altro che una schermatura. Qui il rischio non è solo l’applicazione dell’art. 4-bis TUS, ma anche un recupero a tassazione su altri fronti (redditi, imposte indirette) e un possibile abuso del diritto. I segnali d’allarme sono i soliti: power to revoke eccessivi, istruzioni vincolanti mascherate da “lettere di desideri”, assenza di autonomia del trustee, mancanza di rendicontazione.

Trust “a catena” e trasferimenti interni

Come detto, il 2025 ha visto un caso simbolico: trasferire asset dal trust originario a altri trust creati per linee familiari è stato considerato evento impositivo. In progettazione, quindi, i percorsi “multi-stadio” vanno spiegati e — se necessario — semplificati, magari riducendo gli step o rendendo neutrali (davvero) i passaggi intermedi. 

Trust autodichiarati

Nei trust autodichiarati (disponente = trustee), la segregazione esiste, ma l’assenza di un terzo fiduciario rende più difficile dimostrare l’autonomia della gestione. Non è vietato, ma aumentano gli oneri documentali: delibere formali del trustee, rendiconti, policy di investimento e — se ci sono partecipazionimurare ogni interferenza tra “casa” e “impresa”.


6) Immobili, partecipazioni e holding: come si coordinano trust e struttura di gruppo

Il trust non è un’isola. In un gruppo familiare tipico, convivono immobili, partecipazioni in SRL o in una holding (pura o mista), società semplici dedicate alla gestione patrimoniale. La domanda non è “trust sì/no”, ma dove conviene mettere quale bene e perché.

  • Immobili di famiglia: spesso sono candidati al trust se si vuole regolare l’uso (es. diritto di abitazione per una generazione e fruizione controllata in futuro) e prevenire conflitti. In alternativa, una società semplice immobiliare può risultare più efficiente per locazioni e cessioni (tema diverso, ma connesso nella pianificazione).
  • Partecipazioni: collocarle nel trust è utile quando si vuole separare la titolarità dalla gestione, assegnando ad esempio diritti amministrativi a chi opera in azienda e diritti economici a chi ne è fuori. Il coordinamento con patti parasociali e statuti è decisivo.
  • Holding familiare: in molti casi il trust detiene le quote della holding; l’art. 4-bis TUS non vieta questo disegno, ma impone di pensare in anticipo agli effetti al momento della devoluzione: aliquote, franchigie, imposte ipocatastali se nel perimetro ci sono immobili, impronta di territorialità. 

La regola d’oro è far parlare lo strumento giuridico (trust) con il progetto industriale (holding, governance, passaggio generazionale): norme chiare sull’investimento, politiche di dividendi, meccanismi di voto, tutele per i non operativi.


7) Documentazione e governance: il dossier che “tiene” ai controlli

Con l’art. 4-bis TUS e la circolare 3/E il Fisco guarda alla sostanza: per questo il dossier conta più del “fac-simile” dell’atto. Un impianto che regge agli audit di oggi contiene almeno:

  • Atto istitutivo con clausole coerenti (beneficiari, condizioni d’attribuzione, poteri del trustee, ruolo del protector/guardiano).
  • Lettera di desideri che sia davvero non vincolante; se serve, meglio un Regolamento di investimento con criteri oggettivi.
  • Verbali periodici del trustee; rendicontazione e custodia delle evidenze (movimenti, valuation, decisioni).
  • Memorandum fiscale su territorialità e momento impositivo: quando e come si paga, anche in caso di attribuzioni intermedie.
  • Coordinamento con holding/statuti/patti: diritti economici, lock-up, prelazioni, drag/tag, politiche di dividendo.
  • Scenari “what-if” in caso di morte/invalidità di trustee o protector, o di mutamenti familiari rilevanti. 

Questa è la “manutenzione” che distingue un trust vivo da un documento statico. È anche ciò che l’Agenzia valuta quando qualifica una attribuzione come arricchimento tassabile o come mera gestione non impositiva. 


8) Errori ricorrenti (e come evitarli) dopo la riforma

Il primo errore è confondere “vincolo” e “arricchimento”: l’imposta non scatta per il solo fatto di aver istituito un trust (salvo opzione in entrata), ma quando un beneficiario riceve. Il secondo è sottovalutare la territorialità: con un disponente residente in Italia all’apporto, il perimetro è mondiale. Il terzo è immaginare che i passaggi “interni” tra trust siano sempre neutri: la Risposta AE 170/2025 insegna il contrario e impone di pesare bene i trust successivi. Il quarto è l’autodichiarato senza sostanza: se il trustee è lo stesso disponente, la governance deve essere impeccabile. Il quinto è scollegare il trust dalla holding e dalla società semplice: la pianificazione funziona solo se tutti i pezzi cooperano. 


9) Tre scenari di scelta: come decidere se (e come) usare il trust

  1. Passaggio generazionale con continuità in azienda
    Servono strumenti per premiare chi lavora in impresa senza penalizzare gli altri. Il trust può allocare diritti amministrativi e politiche di dividendo modulando le attribuzioni future. In questo caso, spesso si non opta per la tassazione in entrata, per mantenere flessibilità nelle scelte; si programma però l’uscita con trigger chiari (età, risultati, governance test). 
  2. Protezione immobiliare e rendita alla generazione “anziana”
    Se la finalità è proteggere gli immobili di famiglia, disciplinarne l’uso e garantire rendite controllate a una generazione, può essere conveniente opzionare la tassazione in entrata, chiudendo ogni incertezza futura e facilitando i rapporti con le banche (ipoteche, covenants). 
  3. Holding familiare con asset cross-border
    Qui la parola chiave è territorialità. Si valuta dove risiede il disponente alla data dell’apporto, dove sono gli asset, chi sono i beneficiari potenziali e quando si prevede l’uscita. Il disegno può includere ruling/interpello per blindare i punti sensibili e posizionare l’imposta quando e dove conviene davvero, rispettando la legge. 


10) Novità di prassi 2025 da conoscere (e monitorare)

Oltre alla Circolare 3/E del 16 aprile 2025 che ha cucito insieme i molti “pezzi” della riforma, è interessante la Risposta n. 170/2025 che ha inquadrato come impositive le attribuzioni dal trust originario a trust successivi (con possibili aliquote all’8%). A latere, dottrina e approfondimenti hanno evidenziato come l’art. 4-bis TUS sposti l’attenzione sulla concretezza dell’arricchimento e sulla coerenza delle architetture fiduciaria e societaria. Seguire le fonti ufficiali (G.U., Normattiva, portale Agenzia Entrate) e i commenti qualificati aiuta a tenere aggiornato il perimetro operativo.


11) Il ruolo di BC Formula come partner strategico

Gestire oggi un trust significa orchestrare fisco, diritto civile, governance societaria e dinamiche familiari. BC Formula lavora come partner dell’imprenditore, non come fornitore episodico: analizziamo la situazione patrimoniale e societaria, disegniamo la struttura (trust, holding, società semplice, patti/statuti), calcoliamo con precisione quando e quanto si paga ai sensi dell’art. 4-bis TUS, predisponiamo il dossier documentale che serve davvero ai controlli e ci occupiamo della manutenzione nel tempo (verbali, rendicontazione, adeguamenti, interazioni con AE).

  • Assessment iniziale con mappa di beni, partecipazioni, flussi e scenari di devoluzione.
  • Progetto di trust integrato a holding e società semplice, con patti e statuti coerenti.
  • Scelta consapevole tra tassazione in entrata (opzione) e in uscita, con simulazioni e verifica di franchigie e aliquote applicabili.
  • Dossier di territorialità e memo sulla governance (ruoli, policy, protector).
  • Presidio della prassi: circolari, risposte a interpello, aggiornamenti normativi.


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Caso studio (persona)

Proprio come Francesco, che desiderava separare la ricchezza familiare dalla gestione dell’azienda, garantendo una rendita alla madre e fissando regole chiare per i figli (di cui solo uno coinvolto in impresa). Nel 2024 aveva istituito un trust “ponte” e, nel 2025, valutava di creare trust successivi per ciascun ramo familiare. Dopo il nostro assessment, abbiamo spiegato il rischio — alla luce dell’art. 4-bis TUS e della Risposta AE 170/2025 — che certe attribuzioni intermedie potessero essere impositive come se fossero devoluzioni a beneficiari, con possibili aliquote all’8%. Insieme abbiamo ridisegnato il flusso: niente spezzettamenti inutili, uscite condizionate da obiettivi aziendali, patti in holding per i diritti di voto, policy di dividendo differenziate e un memorandum su territorialità e timeline. Oggi Francesco ha un piano difendibile, allineato al TUS e coerente con gli obiettivi della famiglia. 


12) Domande frequenti (FAQ)

1) L’imposta si paga quando istituisco il trust o quando attribuisco i beni?
Per regola generale, in uscita: quando i beni vengono attribuiti ai beneficiari e si realizza l’arricchimento gratuito. È possibile, però, optare per la tassazione in entrata al momento della segregazione: in quel caso, non si paga all’uscita, ma non è previsto rimborso se l’attribuzione finale non avviene. 

2) Posso spostare beni dal trust originario a trust per ciascun ramo familiare senza pagare?
Non è sempre neutrale. La Risposta AE 170/2025 ha trattato i trust successivi come beneficiari, tassando l’attribuzione intermedia (fino all’8% se non c’è rapporto agevolato). Serve un design attento per evitare tassazioni anticipate indesiderate. 

3) Se il disponente è residente in Italia, la tassazione copre anche i beni esteri?
Sì. La territorialità, come riformata, guarda alla residenza del disponente al momento dell’apporto: se è in Italia, il perimetro è worldwide; se è estero, si tassano i beni in Italia. 

4) Quali aliquote e franchigie si applicano nel trust?
Le stesse del TUS per le successioni/donazioni, in base al rapporto tra disponente e beneficiario (4%, 6%, 8% con relative franchigie dove previste). Su immobili si sommano, di norma, ipotecaria e catastale. 

5) I trust autodichiarati sono ammessi?
Sì, ma richiedono maggiore sostanza e documentazione: autonomia del trustee (anche se coincide col disponente), verbali, rendiconti, regole di investimento, coordinamento con statuti/patti. L’obiettivo è evitare profili di interposizione.

6) Conviene l’opzione di tassazione “in entrata”?
Dipende da timeline, beneficiari, franchigie e obiettivi. È potente per “congelare” il trattamento, ma irrevocabile e non rimborsabile se la devoluzione non avviene. Simulazioni e memorandum ex ante sono indispensabili. 


Conclusioni

Il 2025 segna il passaggio dalla “giungla interpretativa” a un binario chiaro per i trust: l’art. 4-bis TUS ancora l’imposta all’arricchimento del beneficiario (con opzione per la tassazione in entrata), ridefinisce la territorialità in base alla residenza del disponente e, insieme alla circolare 3/E, offre coordinate precise per pianificare senza sorprese. Ma chiarezza non significa semplicità: attribuzioni intermedie, trust a catena, autodichiarati e coordinamento con holding e società patrimoniali restano territori in cui è facile anticipare imposte o creare contenziosi involontari.

La strada maestra è un progetto con sostanza: atti chiari, governance rigorosa, documenti che parlano, e un calcolo in anticipo di quando e quanto si paga. In questo, un partner come BC Formula può fare la differenza: dall’assessment alla messa a terra, fino alla manutenzione che rende il trust un vero strumento di continuità e protezione — non solo un bell’involucro giuridico.

 

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